"Il Signore prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gen 2, 15)
Dio ci ha affidato il mondo e noi dobbiamo custodirlo, siamo noi i responsabili del creato. Oggigiorno l’uomo tende a volersi impossessare di ogni bene senza alcun limite e senza badare ai bisogni e ai diritti del prossimo, ritenendosi quindi unico proprietario delle risorse, sfruttandole al massimo e senza cogliere il loro vero scopo: la condivisione. E allora la domanda nasce spontanea: la Bibbia insegna tutto questo? È accettabile per l’etica biblica abusare dei frutti della nostra casa e non considerare le necessità dei nostri fratelli, tanto da negare loro la vita? Usando le parole dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato si'” (cap 2, 67), ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future.
Questa riflessione ci riporta a un tema trattato con l’ausilio del dottor Riccardo Petrella ovvero la differenza tra proprietà e responsabilità.
“Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d'acqua. Allora andò a riempire l'otre e fece bere il fanciullo.” (Gen 21, 19)
Questo brano della genesi ci invita a una riflessione: la caratteristica fondamentale di Dio è la bontà. Dio è buono e giusto. Ascolta le esigenze e le richieste di tutti, indipendentemente dalla nascita, lingua, cultura o religione di ogni uomo. Garantisce il diritto all’acqua anche a chi è stato escluso come Ismaele perché, essendo l’acqua un dono di Dio, vale per tutti, senza alcuna distinzione. Dio può scegliere, ma non esclude mai nessuno. Così facendo, ci insegna a superare qualsiasi disparità derivante dalle differenze etniche, religiose o legate al ceto sociale.
Molteplici sono oggi i problemi legati al depauperamento e allo sfruttamento selvaggio e predatorio delle risorse idriche, che causano grandi ingiustizie tra uomini di uno stesso popolo o di diversi paesi. Spesso sono gli stati più potenti a utilizzare in modo improprio le materie prime che la natura ci fornisce, approfittando della debolezza di altri popoli (la maggior parte in Africa o in America Latina). La spoliazione sistematica delle risorse vitali prende il nome di "land and water grabbing". Con ciò ci riferiamo a casi in cui autorità, governi o corporation prendono il controllo di risorse idriche o di ecosistemi da cui dipende la sussistenza di una comunità locale o di un’intera nazione. Ogni giorno in tanti, troppi stati del mondo, anziani, donne e bambini sopravvivono a stento. I bambini senza il necessario nutrimento in cibo e acqua non possono crescere e svilupparsi correttamente e spesso nascono con malformazioni in condizioni igieniche critiche. Alla popolazione adulta, a causa di questo sfruttamento del terreno e delle risorse, non sono garantite le condizioni economiche e lavorative utili a condurre una vita che possa essere definita tale. Come possono rimanere impassibili gli uomini potenti e influenti, sfruttatori senza scrupoli, di fronte a tanta miseria? Come possono negare la vita per ragioni puramente economiche? Come possono guardare indifferenti queste disumane condizioni di vita dall’alto dei loro attici super lussuosi a New York City? Tutta l’umanità dovrebbe provare disprezzo e disgusto per questi individui che, dal profondo del cuore, fatichiamo a chiamare “uomini”. L’idea di essere giardinieri del mondo potrebbe aiutarci a superare questo tipo di ingiustizie. Infatti considerando l’acqua un dono di Dio, non possiamo improvvisarci padroni ma solamente tutori. Questo è un concetto che ritroviamo anche nella lingua latina e in quella ebraica per le quali il possesso viene espresso con il complemento di termine. Ed è così che “io ho l'acqua ” si traduce con “a me è l'acqua ”. La preposizione “a” è infatti carica di intenzionalità: indica il riconoscimento della nostra responsabilità verso tale risorsa e verso il prossimo. È proprio questa la sfida futura: raggiungere un modello di vita in cui ogni abitante del pianeta Terra possa utilizzare i beni legati alla vita, concessi da Dio e dal creato, senza nessuna barriera etnica, religiosa o culturale.